(Mi scuso per il ritardo della pubblicazione non dipendente dalla mia volontà.
I apologize for the delay in publishing which does not depend on my will)
Questa edizione di National Restaurant Association Hotel-Motel Show è la centesima, vale a dire che è un secolo che l’associazione dei ristoratori americani si confronta con l’obiettivo statuario di aiutare i professionisti della ristorazione a capire i bisogni dei consumatori, adattare il proprio lavoro allo sviluppo economico (sia crescente, sia nei momenti di contrazione), implementare l’organizzazione con le nuove tecnologie, etc.
Agli inizi, negli anni venti un forte stimolo a una diversa riflessione sul sistema cibo, fu data dalle casalinghe (housewives) che, con le truppe americane in Europa, suggerirono di ridurre gli sprechi alimentari, preferire prodotti locali, non mangiar carne il lunedì, ridurre il consumo di grano, tutto per aiutare i soldati al fronte.
Negli anni successivi (dai ‘30 ai ’60) lo Show dalla sua sede inaugurale a Kansas City, si spostò a Chicago, ritenuta più centrale e accessibile ai visitatori. L’Associazione incomincia a darsi una veste “industriale”, si parla di costi, affitti, managing, menu, etc.
La fine del proibizionismo decretata da Roosevelt diede uno stimolo all’industria della Ristorazione, ma, in tempi più recenti, le imposte aumentarono, creando stress per i ristoranti. Anche il Governo Federale sospese la convenzioni con l’associazione ma leader come Stouffer e Marriott, seppero motivare l’associazione a proseguire il cammino intrapreso. Lo sviluppo dell’industria automobilistica creò una maggiore libertà di movimento e un progresso del turismo, nacquero i quick-service e i drive-in dininig e divennero subito di moda.
Fonte: Forlini’s Restaurant New York
Nel 1954 McDonald coniò la famosa frase “Own Your Own Business” A proposito dell’Hamburger (peraltro nato, come cibo, in Europa) realizzando un impero e un nuovo concetto di “affiliazione”.
Agli inizi degli anni ’60 il Presidente Kennedy, con il supporto della National Restaurant Association, decise l’aumento del salario minimo portandolo a $ 1,25 l’ora nell’arco di due anni. Occorre aggiungere che l’Associazione ha ospitato la prima Conferenza nazionale sulla forza lavoro e l’istruzione. Prende piede una tendenza: la riduzione degli spazi per la preparazione dei cibi freschi e il corrispondente aumento dello spazio per l’immagazzinamento dei prodotti “secchi”, pre-porzionati e surgelati.
Nel decennio successivo l’economia americana fu colpita da due fenomeni apparentemente distanti che influenzarono l’andamento dell’industria della ristorazione: la scarsità di benzina e di carne; We’re Glad You’re Here, ” “Siamo contenti che tu sia qui”, fu lo slogan di quegli anni. Gli anni ’80 furono definiti come l’età dell’oro per l’industria della ristorazione; nacque il Casual Dininig (Ristorazione informale) e molti ristoranti (ri-) scoprirono ingredienti coltivati e prodotti in loco proponendo nei loro menu piatti salutari e a buon prezzo.
Il ventennio successivo si apre con la guerra in Iraq e il Presidente George H.W. Bush, con la stretta collaborazione della National Restaurant Association, porta l’attenzione del Paese ai soldati e alle loro famiglie: ecco pronti e spediti al fronte generi alimentari e di assistenza per i soldati, e sconti in Patria alle famiglie dei militari (la Storia si ripete).
La National Restaurant’Associazione intraprende, in seguito, una campagna per costruire una nuova immagine del settore della ristorazione, lo slogan è “I ristoranti sono i cardini della propria comunità”. L’11 settembre 2001 non cambiò solo la vita degli Stati Uniti, ma di tutto il mondo, non occorre aggiungere altro. Michael Lomonaco (di origini italiane), ultimo Chef di Windows on the World (famoso ristorante situato al 107° piano di una delle torri gemelle, in un’intervista ebbe modo di dire: ” C’erano più di sessanta nazioni rappresentate, più di tre dozzine di lingue diverse parlate, ma tutti ci capivamo molto bene. Eravamo aperti sette giorni alla settimana. Non abbiamo mai chiuso quindi ci siamo conosciuti a fondo. Erano un gruppo incredibile ed erano tutti lassù che facevano il loro lavoro quel giorno “.Nemmeno il tempo di rialzarsi che la crisi dei subprime (che incomincia nel 2006) porta a una recessione che molti economisti paragonano a quella del ’29. Per fortuna, la crescita del fast – casual (ristorazione informale, servizio rapido, prezzi accessibili) ha mitigato non poco questo problema, rafforzando, nello stesso tempo, l’industria della ristorazione. Il resto è cronaca, con l’Associazione dell’Industria della Ristorazione Americana che festeggia 100 anni di storia qui a Chicago, con la certezza di essere oggi come allora il “luogo di collegamento fra le comunità”. Infatti, contrariamente a molti luoghi comuni che “vogliono” la totale assenza di una “Cucina Americana”, la vera tradizione culinaria americana è iniziata nel momento in cui ci fu l’incontro (non scontro) fra i coloni approdati nel Nuovo Mondo e i Nativi Americani, con la mescolanza d’ingredienti, sapori, e piatti, risultato di un melt pointing fra diverse culture e molteplici tradizioni alimentari. È vero, quindi, come afferma l’Associazione, che i ristoratori e i grandi Chef (così come le massaie di tutte le etnie) contribuirono a evolvere la cucina americana e a fare da collante, sul territorio, alle etnie, trasformatesi, col tempo, in comunità.
Fatta questa doverosa sintesi, l’Industria della Ristorazione, dopo un incremento globale del 3,8% nel 2018 a circa 800 miliardi di dollari (Full-Service +3,5% a $263 MD e Quick-Service + 5,3% a $234 MD) stima di raggiungere, per il 2019, un fatturato intorno a 863 miliardi di dollari con un impiego di personale a circa 15,3 milioni, prevedendo, inoltre, di incrementare le offerte di lavoro, nei prossimi dieci anni, per 1,6 milioni di addetti.nIn attesa dei dati del 2019, L’Associazione fa sapere che, nel 2018, il numero dei posti di ristoro è incrementato del 2,2% con 13817 nuovi luoghi dove si mangia. Vedi tabella 1 con ripartizione per segmento.
Una ricerca effettuata dall’American Culinary Federation per National Restaurant’s Association, stabilisce per il 2019 i dieci top trends nelle varie categorie (prodotti, ingredienti, segmenti, etc.). Circa il 77% dei Chef intervistati, afferma che la tendenza numero uno sono gli infusi a base di cannabis (CBD), mentre poco meno del 76% indica al secondo posto cibi preparati sempre con derivati della cannabis (CBD). Vedi Tab.2 Da aggiungere che il trend raggiungerà il miliardo di dollari entro il 2019.
La stessa ricerca segnala anche i Top Trends per diverse categorie: Global Flavors, Snacks/Sweet, Kids’ Meals, Produce Dishes, Condiments, Grains/Pasta, Protein, Non Alcoholic Beverages, Alcoholic Beverages, Restaurant Concepts, Culinary Concepts. Riporto, come esempio, due categorie, vedi tabelle 3 e 4.
Questa edizione si è chiusa senza grosse variazioni, in termini di visitatori, rispetto alla scorsa edizione (+0,1% a 65526). Vedi grafico 1. Il dato comprende tutti, sia i buyers veri e propri (che aumentano del 3% rispetto al 2018 a 42557 unità), sia gli altri partecipanti quali operatori, dimostratori, formatori, distributori, etc. Il dato comprende anche i visitatori della sesta edizione di Beverage Alcohol for Restaurants.
Aumenta per il quarto anno consecutivo la disponibilità di spazi espositivi (+11,00% a 67.170 m2.)
Stabili gli espositori (c.a. 2500, dato che comprende c.a. 6% di Beverage Alcohol for Restaurants) di cui il 21% esteri provenienti da 35 Paesi, anche se è bene ricordare che molte aziende estere espongono con il proprio marchio americano o, in subordine, con il proprio distributore USA, per cui non risultano catalogate come aziende estere.
La suddivisione degli espositori stranieri (Tabella 5.), pone la Cina al primo posto, pur con un calo progressivo negli ultimi tre anni; dal 54,5% del 2017 al 39,8% del 2018, al 34% del 2019. Il Canada si conferma al secondo posto con la stessa percentuale della scorsa edizione (15%) l’Italia è al terzo posto, con c.a. 11%,valore leggermente inferiore alla scorsa edizione; seguono Taiwan e Spagna. I primi cinque Paesi formano quasi il 70% degli espositori stranieri.
Anche per questa edizione Bellavista Expo ha realizzato una partecipazione italiana collettiva, localizzata nella stessa area, con innumerevoli eventi basati su prodotti made in Italy e seminari su come si possa coniugare la cultura del cibo italiano alle attese degli americani in fatto di gusto. Come sempre, ITA (Italian Trade Agency) ha, concretamente, supportato la collettiva.
Nel nostro settore, gli espositori calano del 6,4% rispetto alla scorsa edizione, (Tabella 6), ma, come ricordo sempre, diverse aziende hanno gamme di prodotti che intersecano più segmenti espositivi.
Il mercato americano dell’Ice Cream (e Frozen Dessert in generale) è molto suscettibile agli umori dei consumatori, all’interno del proprio range le variazioni in più e/o in meno sono rilevabili ogni anno (vedi tabelle 7 e 8). Secondo alcuni analisti (Statista.com), il mercato USA dell’Ice Cream aumenterà dello 0,9% dal 2019 al 2023 (tasso di crescita composto CAGR). C’è da dire che il consumo pro capite (sempre secondo Statista.com) si attesterà nel 2019 a 7,5Kg, un dato che fa ben sperare per il futuro.
A seguire l’opinione di alcuni espositori.
Vittoria Vandone: Bussy
“Fiera molto importante con forte attrazione anche da mercati vicini e ricca di opportunita’. Essendo una fiera molto estesa e con diverse merceologie che vanno a coprire tutte le richieste del mercato ho.re.ca. il gelato copre una piccola parte della richiesta del mercato. La nostra società che propone una vasta gamma di cialde di complemento accessorio del gelato a corredo del gelato diventa un prodotto difficile da inserire in un nuovo mercato ricco di opportunità. Ciò non toglie che i nostri distributori sul territorio si impegnino in modo molto professionale, e sono convinta che sia necessario insistere per aprire nuovi segmenti di mercato dove la voce Italia e’ sempre importante”.
Umberto Fabbri: Fabbri
“La Fiera sta diventando sempre più importante per noi, basti pensare che il primo giorno abbiamo avuto lo stesso numero di contatti rispetto al totale-giorni dell’edizione scorsa. Questa crescita è dovuta sia al mercato, sia alla nostra presenza negli USA. L’affluenza internazionale è andata forte, soprattutto da Messico, Canada, Brasile, Iran, Cina, Guatemala, etc. E’ importante sottolineare che a NRAShow, essendo una fiera di ristorazione, i segmenti più interessanti sono, appunto, Bar, Ristorazione, Catene, Hotel, poco Gelateria, quest’ultima stimabile in un 5% rispetto al totale contatti. Quest’anno abbiamo presentato una nuova idea, un Truck, perfettamente attrezzato per essere una gelateria, rispolverando un’idea degli anni sessanta, quando Fabbri inviava in Italia e in Europa, decine di mezzi per insegnare ovunque a fare il gelato artigianale. Lo scopo è di cercare di sviluppare la gelateria anche in America.”
Davide Ribecai: Alcas
“La tendenza green suggerisce d’utilizzare materiali compostabili e riciclabili. Noi abbiamo già creato alcuni prodotti per gelateria secondo le linee cosiddette free e ci stiamo attrezzando per il segmento pasticceria. qui in America, però, la legge non è chiara e, soprattutto, non è uniformata per tutti gli Stati, per cui forniamo ambo le linee di prodotto.
La Fiera è partita soft, ma abbiamo ricevuto visite di Buyers importanti di medie e grosse dimensioni.
Buona la presenza del Sud America, meno del Centro America e da altri Paesi Esteri.”.
Francesca Sartori: Bravo
“Il gelato è in crescita, ma non è una crescita esponenziale. Il mercato sta imparando, ma vive, principalmente, d’ice cream. Chi vuole fare il gelato ha capito che lo deve fare bene e questo determina che la scelta di macchine e ingredienti per questo importante obiettivo, ricada su aziende di attrezzature e ingredienti composti italiane.
Il segmento pasticceri, per noi, è in forte crescita, sebbene la pasticceria in America, non sia ancora a livello di quella Europea. Bravo è in grado di fornire soluzioni per la produzione di creme, mantenendo sempre, con macchine di facile impiego.”.
Domenico Piscioneri: IFI America Corporation
“E’ la prima volta che facciamo la Fiera come IFI America e stiamo avendo risultati che non ci aspettavamo, soprattutto a livello distributori. C’è molto interesse per l’innovazione tecnologica e design che possano fare la differenza con lo standard dell’offerta locale.
Stiamo dedicando tempo e ricerca sial al segmento gelato, sia al segmento ice cream, con attenzione anche alla pasticceria e Bakery.”.
Fabio De Nadai: PreGel USA
“Il mercato negli USA, per quanto riguarda il gelato/icecream, è in crescita, c’è molta più attenzione da parte dell’industria dell’icecream nel creare delle linee di nicchia che si possono “sovrapporre” al gelato. Anche nel segmento pasticceria si sviluppa una ricerca volta a offrire un prodotto più gourmet con ingredienti più di qualità e ricercati.
PreGel è sempre orientata alle evoluzioni in questi segmenti di mercato, perciò è attenta all’innovazione su prodotti di alta qualità nel mondo del food.
Inizio un po’ lento per la fiera, ma è già da qualche anno che l’andamento è questo, con le visite dei buyers, di solito al lunedì, si riequilibrano le presenze.”.
Cristiano Ferrero: Aromitalia
“Buona fiera, più internazionale (soprattutto Sud America, Canada) e una maggiore consapevolezza sui gusti, anche se privilegiano gli accostamenti “arditi”.
Ci siamo trasferiti con la nuova filiale in Florida a Fort Myers per una migliore copertura del mercato.”.
Michele Bartyan: Telme/Stoelting
“Fiera molto viva, non specifica per il gelato, quindi, un po’ dispersiva. C’è più interesse, rispetto al recente passato, per la produzione del gelato, anche se molti scelgono di farlo a freddo, per le norme locali che regolano la pastorizzazione, oltre all’investimento maggiore sulle attrezzature, ed anche la semplicità di esecuzione, dovuta alla presenza, sul territorio di fornitori di miscele dairy di buona qualità.
Abbiamo ottenuto le approvazioni per due modelli di maggiori capacità che si adattano meglio per chi fa grandi volumi.”.
Alfredo Selmi: Montebianco
“Il gelato fatica a imporsi come segmento proprio. La aperture sono fatte da Italiani e sudamericani che prediligono, ovviamente, la East Coast, per motivi ambientali, il clima favorisce il consumo di un prodotto fresco, anche se gli americani mangiano l’icecream sempre e ovunque.
Infatti, il mercato dell’icecream negli USA è in leggero e costante aumento, mentre il nostro gelato artigianale non sale nella stressa misura, si stimano circa mille gelaterie e questo numero rimane più o meno costante. Il frozen yogurt è in discesa, mentre il soft è un mondo a se. Fiera sempre importante per il settore del food negli USA.”
Nota: lo stesso video con migliore risoluzione è disponibile sul mio canale youtube:
https://www.youtube.com/channel/UCszz9E_FZQSWpmW-s8ocXaw
Prossimo appuntamento a Chicago 16-19 Maggio 2020